Un clandestino non può seppellire suo padre. Lo facesse, rinuncerebbe alla sua vita e a quella dei suoi figli.È l’alba e lui non trova pace.
Oggi è il suo compleanno, ma lui non può festeggiare. Deve partire. Oggi è anche la festa della repubblica ma lui non sarà in Italia. Deve tornare. Lo strano scherzo che il destino pianifica nei confronti di tutti voi immigrati e che prima vi illude di una nuova vita, poi questa illusione prende man mano spazio nella realtà, ma poi, alla fine di tutto, quando siete i protagonisti assoluti di questa nuova commedia, dovete tornare indietro. Ritornare al dramma. Dovete partire.
Tocca il suo passaporto, lo guarda con stupore – non ci crede che ormai è italiano- poi lo ripone sul mobile e guarda l’ora ansiosamente. Quando partiamo? Questo è tutto ciò che sa dire, è tutto ciò che sa pensare. Attenzione, questa non è una partenza felice ma dettata dalla paura e dalla nostalgia. Nostos-algos deriva dal greco antico e significa: sofferenza per il ritorno. Si, lui soffre per questo ritorno. È un Ulisse che ritorna in un’Itaca non più chiara nei suoi ricordi. Manca poco. Si parte, guida sua figlia. Il viaggio in auto fino all’aeroporto non è sembrato lungo, è parso interminabile. Guardava l’orologio, si asciugava il sudore della fronte, guardava fuori dal finestrino e poi di nuovo l’orologio. Sono le 3 del pomeriggio, lei ha 5, forse 6 anni, è il compleanno di sua sorella. Sua mamma le ha lasciate dalla zia. Non sanno dove sia, ma poco importa, loro vogliono solo giocare.
La zia è molto gentile oggi, soprattutto con la festeggiata. Sentono la voce della mamma, si affacciano al balcone. La mamma dice di scendere. Lo dice con la voce rotta e con lo sguardo triste. È vestita completamente di nero. E quando una persona veste di nero, in Albania significa solo una cosa: morte. La mamma arriva da un funerale. Tremano, hanno i brividi. Che sia papà? In fondo sono due anni che è in Italia e non hanno notizie di lui. vanno verso casa e nessuno ha il coraggio di parlare. Appena varcata la soglia di casa, mamma confessa: è morto nonno. Il padre di loro padre. Il loro punto di riferimento ora che papà è lontano. La cosa più triste di questa morte, oltre la morte stessa, è l’assenza di papà. Un clandestino non può seppellire suo padre. Lo facesse, rinuncerebbe alla sua vita e a quella dei suoi figli.
Sono arrivati all’aeroporto, lui scende dall’auto per primo e corre verso il check-in. Non ha bagagli, non ne ha voluti. Il viaggio sarà breve. Guarda la moglie e la figlia ma non parla, lo fanno i suoi occhi carichi di tristezza e sensi di colpa.
Stringe forte sua moglie tra le braccia, vuole piangere ma si trattiene. Poi va verso la sua bambina. La guarda. Vuole parlare ma non ne ha le forze. Poi, finalmente le dice: “non posso perdonarmi di non aver visto mio padre un’ultima volta prima che morisse, spero di poter salutare almeno lei”. Silenzio, lei è pietrificata. “Lo spero per te papà- rispondo- spero che il saluto a nonna possa essere il tuo regalo di compleanno”.
Non aggiunge altro lei, pensa solo che non vorrebbe mai salutare i suoi genitori prima dell’ultimo viaggio, come suo padre ha salutato i suoi. Vorrebbe potergli stringere la mano, dirgli grazie per rinunciato a tutto pur di darle un futuro migliore. Di aver rinunciato alle ultime parole del nonno per sentire le prime parole in italiano delle sue bambine, per aver rinunciato ai suoi fratelli e sorelle affinchè le sue figlie avessero dei compagni italiani.
Buon compleanno, papà.