I miei amici di Tirana non hanno mai smesso di chiedermi perché non tornassi a vivere lì. Con la mia formazione, esperienze, mentalità aperta e tenacia, secondo loro lì, nel Paese delle Aquile avrei potuto fare tanto.
E sinceramente diverse volte mi sono fatta solleticare dal pensiero di tornare nella mia Tirana e darmi alla mia terra.
Ma ogni volta che tornavo per brevi periodi di permanenza, mi rendevo conto che quello non era più il mio mondo. L’approccio alla vita che riscontravo a Tirana non combaciava affatto con il mio. La lotta continua per tenersi il lavoro che non veniva misurato con le tue capacità ma bensì dalla tua fedeltà al tuo responsabile che doveva lealtà ad un capo politico.
Il tollerare continuo delle mancanze dei servizi quali, infrastrutture adeguate, parchi pubblici e sanità statale. Il progettare di fare degli investimenti esattamente là dove trovavi ingiustizie per unirsi a queste e con il fare del “così fan tutti” giustificare le tue azioni. Dove la furbizia e la tua capacità camaleontica fosse perennemente sdoganata e persino invidiata.
Dove per vivere una vita serena dovevi optare solo per lavoro in imprese private, ma se queste sono grandi, quasi certamente, hanno legami con la politica, per cui, se al bar con i tuoi amici puoi dire ciò che pensi, al lavoro la regola è una, si segue la linea del capo.
Un Paese dove il libero pensiero del giornalista ed analista politico veniva gettato nel pentolone delle chiacchiere al vento. Dove per poter essere libero di esprimerti in pieno e rispettare l’etica del tuo mestiere devi avere alle spalle solide esperienze e tenacia a rimanere coerente.
L’Albania. Un Paese diviso in due
Un Paese costantemente diviso in due: Pro e Contro; Nero o Bianco. Un Paese dove le sfumature, che sono necessarie per la differenza e l’evoluzione, ti si ritorcono contro.
Un Paese pratico. Se devo andare dalla A alla Z non occorre conoscere l’alfabeto, fingi che le altre lettere non ci siano. Cosi, una sera ti potevi addormentare con la licenza elementare e svegliarti il mattino dopo laureato e magari con un incarico importante nelle istituzioni o nelle imprese vicine ad esse.
Certo, non è più cosi, Bossi junior è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma è stato così per lungo tempo, e chi con la laurea trovata sotto il cuscino, come la monetina lasciata dalla fatina dei denti al risveglio, ha avuto accesso ai poteri continua ad averlo, perché sarà vero che il titolo se l’è guadagnato dormendo, ma è anche vero che ha avuto tutto il tempo per entrare nel meccanismo politico e burocratico, quello della comunicazione e sviluppo, facendo in modo di non permettere ‘l’accesso ai non affiliati.
Insomma, un Paese dove la politica la fa da padrona, e come già anni addietro ho scritto nel “Maledetta nostalgia” per Albania News, in Albania la politica la fanno tutti, e la fanno per sopravvivere e per determinarsi, spesso silenziosamente ma con l’apparente convinzione che sia l’unica maniera per realizzare sé stessi da vincolarti il pensiero.
E non sono sfegatati per uno o per l’altro partito, bensì per chi promette a loro che, a fronte del contributo di voti, fondi economici o promozione degli slogan e della comunicazione di un’ala, avranno assicurato l’accesso in un determinato ruolo amministrativo, una concessione, una promozione, una liberalizzazione, un semplice lavoro da stradino e così via…
A seconda del contributo che si è disposti e capaci di dare. Un fare politica ad personam, non di società.
In Albania la meritocrazia per chi si occupa di comunicazione e nel sociale soprattutto, non è un principio. È tutto monetizzato. E tutto si può monetizzare in un Paese affamato di Europa.
Probabilmente, e me ne rendo conto, risulto decisamente critica nei riguardi del mio Paese d’origine, ma d’altronde, lo amo profondamente, e seppur riconosco che tanto sia cambiato dal lontano 2000 quando lo lasciai, non posso non riconoscere che sia davvero poco e soprattutto che, in questi ultimi 30 anni dalla caduta del regime l’Albania non si è occupata di emergere, di formarsi e strutturarsi a livello politico e sociale ma ha creato diseguaglianze e propagandato la lotta contro di esse che essa stessa ha creato.
Qualche anno fa percorsi Albania in macchina fino in Ciamuria (Tsamourià, oggi appartenente alla Grecia) con due stimati giornalisti (Simone Cerio, video maker e Andrea Buccella, fotoreporter) per raccontare la sua storia, e tra una fermata e l’altra chiesi ai miei colleghi di non giudicarla, di non aspettarsi l’Italia nell’Aquila, di assorbire la sua realtà ed imparare ad apprezzarla.
All’epoca era ancora un cantiere a cielo aperto, strade disastrose, costruzioni abbandonate, suv alla portata dei magnati europei e carretti trainati dai somari sulla stessa strada. Ristoranti che vantavano le stelle Michelin e bici eclettiche dove i raggi delle ruote veniva trasformate in griglie per preparare panini con polpette di carne di maiale on the road.
Era l’Albania delle contraddizioni, in un altro articolo mio, sempre qui su Albania News l’ho chiamato il paradosso albanese.
Albania è davvero cambiata
Oggi si rischia una salata sanzione se vieni trovato a vendere per strada e ti ritrovi con la merce sequestrata. Oggi, se traini il tuo carretto con il somaro vieni espropriato di tutto e multato. Oggi, le scommesse clandestine tra i muri e i vicoli della città le fai direttamente nei centri scommesse, nati come funghi con una frequenza di 10 ogni 1000 abitanti. Oggi tutti pagano la corrente elettrica sennò rischiano il carcere preventivo e chi non se la può permettere può sempre accendersi una candela o suicidarsi per la miseria.
Oggi l’Albania è alla luce del sole
È diventata persino meta per i migranti italiani. Persone alla ricerca di una opportunità migliore, di un lavoro redditizio, di una realizzazione professionale e personale.
Rotta Contraria – dall’Italia all’Albania, destino inverso
Siamo alla Rotta Contraria, esattamente come documenta il docufilm di Stefano Grossi presentato al Bifest di Bari nell’aprile scorso.
Ho avuto l’onore di poterlo visionare in privato e prendermi il tempo per elaborarlo poiché tanto diverso dagli altri già visti che raccontano questa migrazione al contrario che non puoi farti vincere dalle prime emozioni.
Insomma, diciamocelo, a quale albanese farebbe piacere leggere un tono di critica per il suo Paese?
Io stessa, che non ho mai nascosto il mio approccio critico nei riguardi dell’Aquila bicipite lo subisco quando giunge da quelli di “fuori”.
Succede la stessa cosa agli italiani quando sono gli stranieri a criticare le politiche italiane e siccome io, coerentemente con quanto ho detto e fatto da sempre, ho sempre ritenuto più giusto che la realtà venisse raccontata piuttosto che descritta, mi sono presa il mio tempo per cogliere in questo docufilm realistico l’anima ed il messaggio.
Non si trovano menzogne sull’Albania, non si trova prevalenza d’opinioni di parte, non si trovano tendenze a promuovere un pensiero oppure un altro, non troverete neanche la sponsorizzazione della Nuova America oltre l’Adriatico. Ciò che troverete saranno testimonianze ed immagini che vi porteranno a farvi domande, che vi lasceranno senza risposte pronte perché quelle, – sembra proprio questa l’intenzione del regista Stefano Grossi e della produzione di Own Air , – dovete darvele voi.
Se l’Italia fosse stata presentata agli albanesi in modo reale, senza i veli de festival di Sanremo, senza il fascino delle ragazze di Non è La Rai, senza le pubblicità di Mulino Bianco dove il tempo è inesistente, il lavoro una passione, la tavola della colazione sempre piena ed i bambini biondi e felici, probabilmente ci sarebbe stata una immigrazione più consapevole. Probabilmente, quando l’Albania prendeva come esempio lo Stivale avrebbe capito che nulla è possibile senza rinunce e sacrifici.
Probabilmente, gli albanesi non si sarebbero fatti affascinare dall’immediatezza che propagandavano le pubblicità e avrebbero usato meglio e con più coscienza questi ultimi 30 anni.
C’è sempre un prezzo da pagare e dei conti da fare e perché sia il meno salato possibile occorre comunicare con oggettività.
Ecco, Rotta Contraria per me è esattamente questo. Non solo il racconto di una migrazione di italiani verso l’Albania, ma una rotta contraria di comunicazione e della documentazione della realtà.
Senza patinature e senza risposte pronte
In un momento storico in cui si parla tanto della flat tax (che tra l’altro non c’è) in Albania e della meravigliosa vita che attende i migranti italiani nel Paese delle Aquile, Rotta Contraria non si spinge affatto a tanto coraggio e a tanta enfasi. Stefano Grossi non si chiede se è Lamerica Tirana, ma come la vivono gli italiani. Non dà alcuna impronta promozionale e tanto meno di disapprovazione.
Tirana, Albania in questo documentario è quasi nuda. Impossibile da riportare tutto l’essere dell’Aquila in 75 minuti, ma i temi che Grossi ha toccato ed i racconti degli italiani d’Albania hanno il forte sapore di realtà. Da non giudicare, da non improntare, da lasciar conoscere.
Non c’è Lamerica al di là del mare, ci sono opportunità, le stesse ragioni che spingono gli albanesi a migrare nello Stivale.
In Italia ci sono migranti che sono riusciti a farcela economicamente e professionalmente, come ci sono migranti che conducono una vita nella media è l’unica ragione per la quale rimangono ancora qui sono gli anni che hanno investito e la cultura che hanno assimilato.
Rotta Contraria non incentiva e neanche disincentiva la migrazione, la racconta.
La racconta senza cadere nel trash delle lacrime pietose e senza concentrarsi sulle realtà sfarzose che creano l’illusione del tutto è possibile, basta imbarcare. La migrazione non è un viaggio intorno al mondo, non si migra per conoscere altre realtà bensì per cogliere opportunità. La migrazione è un investimento e come tale richiede compromessi, rinunce e sacrifici e soprattutto fiducia e tenacia.
L’Albania è splendida, la sua cultura ed il suo popolo sono meravigliosi, il suo mare è un paradiso e le sue montagne ancora di più. Tirana è una capitale europea affascinante e piena di sorprese, ma Tirana non è tutta l’Aquila bicipite, e soprattutto non solo il Bllok.
Non era giusto Roma tutta l’Italia e tanto meno piazza di Spagna delle sfilate di alta moda che arrivavano a Tirana.
Rotta contraria vi racconta un Albania difficile da decifrare, seppur nel tempo si è provato anche tra le pagine di Albania News. Vi troverete infatti estrapoli dell’intervista di uno dei scrittori, intellettuali ed opinionisti più accreditati a Tirana, Fatos Lubonja, rilasciato al cofondatore di questo giornale Alban Trungu anni addietro. Un’intervista della quale coerentemente i produttori hanno citato provenienza ed autore, cosa rara da riscontrare.
Un docufilm che ha da subito ricevuto l’apprezzamento della critica e del quale continuano a parlare anche le grandi testate giornalistiche nazionali e non solo.
Un lavoro meticoloso, una comunicazione che parla non solo d’audio ma anche di luci e immagini a specchio che riportano i pandorum di cui parlavo sopra.
Un bagno di realtà dove nulla è scontato ma porta gli spettatori fuori dalla comunicazione di massa e li accompagna alla riflessione.
“Se volete vedervi allo specchio, guardate l’Albania, che è un po’ una caricatura dell’Occidente”
Fatos Lubonja
Rotta Contraria
- regia di Stefano Grossi
- una produzione di Own Air.
Prossimi appuntamenti:
- 11 giugno Torino (Cinemateatro Baretti)
- 20 giugno Roma (Apollo Undici)