Si potrebbe dire un «manifesto della nuova arte albanese indipendente», o perlomeno un primo passo in questa direzione. Particolare e ricercato, ma allo stesso tempo genuino (nell’accezione migliore della parola) è stato lo spettacolo messo in scena fra gli ulivi e le scalinate marmoree della città antica di Orikum, a Valona.
Trasportato della musica del compositore Aulon Naçi, prende vita il nuovo originale monologo scritto e interpretato da Aleksandros Memetaj, scandito a cadenze emotive dalle performance danzanti di Errik Nour. Teatro, balletto e musica, alternati a momenti in cui tutto tace e si ferma come “impaurito” dalla voce del baritono Solen Alla. A questa sembra affidata la missione di ricreare la gerarchia primordiale dell’arte, soprattutto nella tradizione albanese, restituendo alla parola cantata il suo primato.
«Ho cercato questo intreccio, questa idea, un dialogo tra generi, convinto e cosciente delle difficoltà non solo tecniche ma anche filosofiche ed esistenziali di un simile tentativo nell’Arte» – racconta il compositore Aulon Naçi, nonché ideatore e direttore artistico della serata. Il tema è quello della donna e della madre albanese, della sua forza e umanità, che è anche metafora della città di Valona. Le parole e le riflessioni di Aleksandros Memetaj esprimono in scena il passaggio dalla “madre” biologica alla “madre” sociale: la città da sempre conosciuta con le braccia aperte, che nel proprio seno ha accolto e protetto fin dalla storia lontana, e che oggi sembra invece destinata, per volontà di alcuni, a trasformarsi e a essere vista «matrigna» (lo stesso vale per la stesa Albania intera). È questa l’angoscia e la sofferenza dei suoi figli più sensibili, di questi artisti nati nelle sue vie. Ritorno alla madre, come genitrice diretta ma anche come nonna (in albanese la parola “nënë” è usata spesso per indicare entrambe), scavando fra quei resti di socialità sfuggiti al progresso forzato, per trovare frammenti di poesia ancora in vita fra le strade della città. Lì, proprio dove nessuno se ne accorge, fra gli anziani del domino e degli scacchi sotto le corone degli ulivi e fra i pescatori dei vecchi quartieri oppure nelle espressioni di quelle nonne e degli ultimi nipoti liberi, la poesia parla e ci chiama forse per l’ultima volta nella sua lingua, che è quella della diversità.
Manifesto
Alla stessa maniera, come questa poesia della strada riesce ancora a sfuggire allo “splendore” artificiale del potere, o alla distruzione monolitica imposta dalle costruzioni a piani verso l’alto, anche questo che ho chiamato “manifesto”, o semplicemente “arte”, cerca di sopravvivere all’impaginazione forzata dei venditori ufficiali dello spettacolo asservito al potere, ma anche al “tallavaismo” e al “serenatismo” mediocre e medizzante, esigenza non soltanto del mondo del profitto, ma anche di una massa, resa forzatamente emarginata e ignorante. Oltre alle parole e alle improvvisazioni di Aleksandros, la musica stessa suona come un grido poetico, lacerata tra la malinconia e la rabbia di protesta.

Forse bisogna parlare di un «manifesto della nuova arte albanese indipendente» perché il ponte con il “vecchio” autentico è da tempo abbattuto e il nuovo fino ad ora non è stato nemmeno una zattera a corda, per andare oltre. Serve parlare di “manifesto”, o pietre per nuove fondamenta di un’arte nuova, perché in questi artisti si concentrano il talento, l’apertura mentale e artistica anche frutto dello sviluppo della propria identità culturale in un mondo “altro”, europeo. È proprio partendo dalle disavventure/difficoltà e dai successi conquistati in questo loro mondo che essi si identificano, oltre che con il nuovo, con “l’indipendenza” artistica, di giudizio, esistenziale e soprattutto dal potere politico, tanto presente in Albania.
Contrasto
Non è stata semplicemente una serata di voluto contrasto con le luci dei nuovi marmi di Tirana; lontano dagli teleobiettivi costosi delle televisioni nazionali, quasi sempre puntati sulla vita quartierina della capitale. Questi artisti respirano oltre l’aria tossica della “metropoli”, sono lontani dall’illuminazione delle piazze, alla ricerca invece della luce fra le profondità interiori dell’anima. È un richiamo e forse la migliore sfida al mondo dell’arte nazionale centralizzata a uscire dal suo mondo autoreferenziale e a prendere coscienza delle diverse teste della medusa. L’arte e ogni forma culturale in Albania non ha mai avuto un solo linguaggio, un solo luogo e una sola testa. Lo aveva notato il buon Noli, richiamando l’attenzione in primo luogo sulle città «capitali» Valona e Scutari, ma anche sulle altre città, all’epoca storiche, oggi forse ovunque. Questi il linguaggio e le idee che provengono da questa serata, da questi artisti, da questi luoghi. Questo il loro contributo alla stesura di un manifesto, non in senso strettamente programmatico ma come richiamo all’essenza di un arte albanese. Qualità, nuova arte, indipendenza, idee e lingue lontane dal monismo uniformante: è una voce di posizione e di appello a uno sguardo panoramico, non egocentrico, sull’arte albanese, quella proveniente da questi ragazzi figli della città, ma artisti del mondo.
La squadra
A guidare il lavoro, il regista Neritan Mehmetaj, che ha svolto un lavoro eccezionale, superando le difficoltà di realizzazione in un contesto come quello albanese e quelle tecniche legate alla particolarità del luogo. A Realda Malo va il merito di una scenografia che traduce in maniera perfetta lo spirito “naif” di questa serata-manifesto. Ad affiancare i tre protagonisti, c’era poi l’orchestra composta da strumentisti talentuosi: la nota pianista Ardita Bufaj, il quartetto d’archi formato dai giovanissimi Dejon Bendaj, Vilson Guri, Albana Kola dhe Enea Nushi, Elton Balla alla fisarmonica, e Mirjan Sulovari alle percussioni.
Al gruppo e agli organizzatori va il merito di una realizzazione che ha dovuto fare i conti con risorse tecniche e materiali limitate. Ma d’altronde, come hanno sostenuto Alekandros Memetaj e Aulon Naçi era il cuore a determinare tutto.
Il ritorno di questa arte in città e di questi artisti in Albania non sarebbe stato possibile senza il contributo e il sostegno soprattutto del Consolato Generale di Valona, organizzatore dell’evento, oltre che del comune di Valona e dell’ufficio della Conservazione dei Beni Artistici della regione di Valona, ai quali vanno i ringraziamenti degli artisti, di chi scrive e sicuramente del numeroso pubblico presente.
Da notare
Da notare – oltre alle zanzare, nonostante la disinfestazione – è stata una partecipazione molto selettiva. Per una volta però non selezionava il prezzo. Proprio da queste zone turistiche ci giunge voce di località balneari con 50 euro a ombrellone, dove chi è diventato borghese ancor prima di essere cittadino esibisce il proprio orgoglio fra i concerti dei “divi” nazionali, mentre la pensione media albanese non raggiunge neanche i 150 euro. Il concerto-teatro era a ingresso libero. Ecco da dove deve partire un «manifesto dell’arte nuova albanese indipendente».
Al prossimo evento
«Përtej kohës» [oltre il tempo] si intitola invece il nuovo concerto di Aulon Naçi e che si terrà a Valona, venerdì 16 agosto. Il pubblico, non soltanto quello della città ma anche ogni amante della musica che proviene da tutto il paese e addirittura dalla Puglia, avrà il piacere esclusivo di assistere ad un suo recital delle sue composizioni più importanti, eseguite da un’orchestra talentuosa da lui stesso formata per l’occasione. Il luogo è «Marina Bay», ovvero «pas vilave, Uji i ftohtë» secondo il suo nome tradizionale, alle 19:39, orario scelto perché corrispondente al momento preciso di quel «meraviglioso tramonto sul golfo» – come lo definiva Ernest Koliqi. Ingresso a biglietti.
![«Përtej kohës» [oltre il tempo], il 16 agosto il concerto di Aulon Naçi](https://cdn.albanianews.al/wp-content/uploads/2019/08/81da9e4d-dd59-4ec1-8dae-b8d31f07c0df.jpg)