“Chi quel gong percuoterà, apparire la vedrà, bianca al pari della giada, fredda come quella spada, è la bella Turandot” (Turandot, Coro dal primo atto).Non sarà facilmente dimenticata l’emozione prodotta dalla Turandot andata in scena il 12, 14 e 16 dicembre al Teatro dell’Opera di Tirana, per la regia di Nicola Zorz i e con la scenografia di ManuelaGasperoni, entrambi già noti al pubblico dei melomani albanesi. Maestro concertatore Vittorio Parisi, anche lui molto noto ed amato dal pubblico di Tirana fin dal famoso Barbiere di Siviglia diretto mentre cadeva la statua di Enver in piazza Skanderbeg.
Direttore del coro Dritan Lushi. A causa dello spostamento di data della prima il maestro Parisi ha diretto la seconda e terza replica, per precedenti impegni in Italia, la prima è stata diretta dal Maestro Edmond Doko. La prima e le due repliche hanno registrato il tutto esaurito e un successo calorosissimo: il pubblico applaudiva in piedi, un grande cambiamento rispetto alla freddezza compassata fine anni ‘80. Salendo sul palcoscenico a fine spettacolo, privilegio a me caro e del quale godo dal lontano 1989, si sentiva la commozione degli artisti e del pubblico che veniva a complimentarsi e ringraziare. Il teatro era stato spogliato delle quinte, mettendo a nudo la sua notevole, inquietante altezza: sul vasto girevole, che offre la possibilità di cambiare scena a sipario aperto, insisteva una pedana trasversale dipinta di bianco (il cuore di ghiaccio di Turandot, la principessa che fa tagliare la testa ai pretendenti che non rispondono ai suoi tre enigmi), sotto alla quale si celava un magazzino con armadi metallici, contenenti manichini senza sesso, in sostanza senza identità, e spesso senza testa.
Lì sotto dominava il grigio, come nei vestiti del coro, il popolo oppresso. Dall’alto pendeva una gigantografia dell’Imperatore, il padre di Turandot, attorno alla quale, in un punto climax, venivano srotolati seilunghissimi drappi rossi, così come il popolo grigio, per osannare la principessa, sventolava bandierine rosse. L’allegoria era chiara, inquietante, emozionante, l’assenza delle consuete cineserie e dei colori sgargianti faceva risaltare la drammaticità della musica di Puccini, che, più che raccontare una favola, narra la tragedia del potere autocratico.
Se Turandot rappresenta il potere spietato, Calaf che vuole sposarla a tutti i costi (“all’alba vincerò”) non è solo un innamorato tenace, ma un uomo ambizioso, che anela a dividere il potere con la Principessa. Solo Liù rappresenta l’amore puro, disinteressato, e infatti con la sua morte muore anche la tensione nell’opera, non terminata da Puccini, morto lui stesso sulle note di Liù.Nei due cast,primo e secondo: Turandot Eva Golemi, Irini Nikolla, Vesna Ilkova CalafArmaldo Kllogjeri e Stepfhen Mullan LiùEriona Gjyzeli e Besa LlugjiqiTimurArmando LikayPing, Pong, PangEdvin Kastrati, Gilmond Miftari, Roel LLupa, Altaun Ardian Kamberi
Dopo l’ultima replica abbiamo intervistato il Maestro Vittorio Parisi I: Maestro, come ha vissuto l’esperienza di questa particolare messa in scena di Turandot? R: Mi piace molto la regia di Nicola Zorzi e ho trovato la compagnia di canto molto equilibrata. L’Orchestra, rispetto agli anni precedenti, è risultata molto più concentrata e anche più disciplinata. I: Mi ricordo che un tempo, rispetto agli archi, c’era una debolezza nei fiati, è ancora così? R: No, sono molto migliorati, fanno più corpo, costituiscono maggiormente una sezione omogenea. Poi, ci sono cose che vanno fatte in Turandot, come la Banda fuori scena e che ha dovuto fare l’orchestra, in sostanza un doppio lavoro. Per fortuna l’avevano già messa in scena nel 2005 e la conoscevano bene. I: Quante prove avete fatto? R: 3 di lettura per sola orchestra, 4 assiemi orchestra-palcoscenico, due generali, più una con il Maestro Edmond Doko. I: Quali altre occasioni ha avuto di dirigere in Albania, dopo l’indimenticabile Barbiere di Siviglia del gennaio 1991, che avete messo in scena proprio mentre in piazza si manifestava e cadeva la statua di Enver, con gli studenti che si rifugiavano in Teatro, la polizia che li inseguiva e il mitico datore di luci Franco Marri che li stoppò con la frase ormai famosa “Fermi, qui si fa spettacolo?” R: Ho diretto Il signor Bruschino in forma di concerto, la Suite Dodì di Azio Corghi su musiche di Rossini, un concerto con l’Orchestra della Radio (Schoenberg, Ibert, Webern), musica dodecafonica in un momento di grande apertura, con un pubblico entusiasta, tutte prime esecuzioni.I: Com’è il pubblico di Tirana? R: È molto partecipe, conosce molto bene quel che va a sentire, ha una competenza superiore alla media. I: Quali altre esperienze musicali ha avuto qui e con i musicisti albanesi? R: Ho tenuto un Corso di Direzione d’Orchestra, concluso con un concerto alla Piramide, gli allievi hanno diretto la prima parte e io la seconda (musiche di Calligaris e Ravel). I: Che ne pensa della decisione di abbattere la Piramide? R: Come se noi distruggessimo Palazzo Venezia perché al balcone si affacciava Mussolini, oltretutto esteticamente mi piace, anche se è un simbolo negativo va conservato. Poi, ho portato tre volte l’Orchestra della Radio in tournée in Italia, ora era da qualche anno che non venivo a Tirana, ma sono ritornato nel 2005 con Il Flauto Magico, poi nel 2.008 con un concerto di musiche di Alexander Peci, poi di nuovo un Barbiere di Siviglia, ovviamente non così emozionante come quello del ’91, nel 2010 un Rigoletto con la regia di Zorzi e le scene della Gasperoni, venne a sentirlo Berisha e anche il Ministro della Cultura di allora. Quel Rigoletto filò liscio, a differenza di questa Turandot difficile. Prima la morte del figlio del Re Zog, la giornata di lutto nazionale ha fatto spostare la prima, che quindi non ho potuto dirigere, per precedenti impegni in Italia, sono tornato quindi per la seconda e la terza replica. Poi, il concerto per i 99 anni dell’Indipendenza, che ha rallentato il lavoro… I:…alla fine, all’ultima replica, le due soprano ammalatesi in contemporanea, primo e secondo cast. Ma per fortuna la soprano macedone, Vesna Ilkova, benché ingaggiata all’ultimo momento, si è ambientata subito bene con lei, con il regista e con le scene, da vera professionista, e ha avuto un ottimo, meritato successo…come ha trovato il Teatro dell’Opera, in questi ultimi anni? R: Se pure lentamente rispetto alle esigenze ci sono state delle migliorie, occorrerebbero altri lavori, per esempio la sala prove dei cantanti, troppo piccola, non consente di valutarne bene la voce. Ma in fondo bisogna dire che l’organizzazione del Teatro è un miracolo, funziona con pochissime persone che fanno un superlavoro, con ottimi risultati. I: Cosa ha trovato di emozionante in questa messa in scena di Turandot? R: Mi fossi trovato altrove non avrei avuto la stessa sensibilità nel recepire le scelte di regia, l’impatto è molto forte, scava nella psicologia dei personaggi, non è più solo una fiaba, Calaf è uno che pur di conquistare la principessa Turandot non esita a passare sul corpo di Liù.I: Se non sbaglio, è l’ultima opera di Puccini… R: Sì, non l’ha finita perché è morto, più o meno quando muore Liù, e quindi non ha potuto assistere alle prove, non ha potuto limare, correggere, lo ha fatto Toscanini ma a colp
i di accetta…e poi il finale, Puccini non sapeva bene come concludere, era incerto, chissà se avrebbe approvato l’happy end di Alfano. Mentre in Tosca, in Butterfly l’eroina e la sua fine sono lineari, qui tutt’altro, forse lo avrebbe scritto meno trionfalistico. Se dovessi rifarla la farei con il primo finale di Alfano, non con questo colpito da certe sforbiciate senza capo né coda di Toscanini. I: Il ruolo dell’Orchestra nel Primo Atto è molto importante… R: È centrale, ma tutta l’Opera è molto corale, di popolo (mi fa venire in mente il Boris Godunov, penso che Puccini lo conoscesse). Il vero protagonista, nel bene e nel male, è il popolo, nel male perché troppo facilmente cambia idee, direi che quest’opera narra quanto sia facile la manipolazione delle masse. Insomma, tranne quando sono presenti i tre ministri Ping, Pong e Pang il coro è sempre in scena. I: La regia di Zorzi e le scene di Gasperoni hanno colpito il pubblico, è stato un azzardo andare in scena senza le consuete cineserie? Penso alle critiche per la regia del Don Giovanni alla Scala… R: La realizzazione è stata concordata con il Maestro Zhani Ciko, persona di alto livello culturale, eravamo tutti d’accordo che non andava trattata solo come una fiaba, oggi, rispetto alle rappresentazioni del passato, si cerca di scavare più profondamente nella psicologia dei personaggi, il maestro Zhani Ciko dirige il Teatro dell’Opera di Tirana con questa apertura.I: E il pubblico ha dimostrato di aver apprezzato l’innovazione…com’è l’esperienza in teatro, a Tirana, rispetto ad altri teatri nel mondo nei quali lei ha diretto, dall’Italia alla Nuova Zelanda? R: Lavorare in Albania comporta qualche sacrificio, rispetto a teatri con più risorse, ma lì tutto è molto più asettico, qui invece c’è il senso del teatro com’era una volta e le risorse umane contano di più. Devi arrangiarti, non è tutto tecnologico, ma alla fine risulta un teatro più vivo, sanguigno. I: Vogliamo parlare degli interpreti, dei cantanti? R: Qui ci sono giovani cantanti molto bravi, sia albanesi che una giovane kosovara, Besa Llugjiki, come Eriona Gjyzeli, le due Liù. E poi il basso Armando Likaj, e i 5 che si sono alternati nel ruolo dei tre ministri, Ping, Pong e Pang…hanno diritto ad una carriera internazionale importante: Ma non devono dimenticare il Teatro di Tirana, che li sta facendo crescere. I: Le capita di lavorare in Italia con musicisti albanesi? R: Ne incontro molti, a Milano, per esempio, ho diretto un concerto ai pomeriggi Musicali e il primo violino era Fathlinda Thaci che avevo aiutato a venire in Italia nel 1991, sono più spesso strumentisti che cantanti, ma comunque quando sono preparati, e ce ne sono, trovano spazio, si fanno largo.
Potete fare riferimento al sito web del regista Nicola Zorzi, (www.nicolazorzi.com ), nel quale è possibile vedere complessivamente il suo lavoro di regista.