Quanto conosciamo il nostro paese? – è la prima cosa che mi sono chiesto durante e dopo aver visto Albania, Il Paese di Fronte di Roland Sejko e Mauro Brescia.
Quanto conosciamo il suo cammino, gli intrighi oscuri che hanno fatto l’Albania di oggi o, meglio, quell’Albania che negli primi anni 90 si affacciava aggressiva e curiosa alla Europa così detta civilizzata e capitalista.
Non abbastanza, ovviamente, o non abbastanza bene. Perché una cosa è conoscere date ed avvenimenti che hanno percosso la Storia, e ben altra cosa è costruire il cammino nei secoli del nostro povero paese.
Albania, Il Paese di Fronte – Il documentario
Ed è quello che fa questo documentario, Il Paese di Fronte . Mettere i fatti, gli uomini, gli eserciti, uno dopo l’altro per costruire, prevalentemente, quello che succede dalla dichiarazione d’indipendenza del 1912 per mano di Ismail Qemal bey fino a quel fatidico 20 febbraio 1991 quando la statua del leader viene portato giù. Ma sbaglierebbe che pensa alla solita storia.
La ricerca di Sejko/Brescia è stata meticolosa e si capisce fin dai primi minuti quando si cita Montanelli e il suo Albania uno e mille, ed è la stessa professionalità che non viene meno fino alla fine quando, un po’ come in quei film basati su storie vere, in sovra titoli si liquidano i svariati protagonisti: Kosova, Re Zog, il cadavere di Hoxha e quant’altro.
Quello che questa raccolta di storie fa non è tanto raccontare quanto spiegare. Il merito della voce narrante e dei testi è quello di addentrarti nelle trame e nel sangue di un popolo fiero e povero, di una storia forse sbagliata, eppure scalpita nel marmo.
C’è modo e modo di raccontare, e il più odioso è quello di considerare lo spettatore un essere passivo, limitarsi a constatare che la passività dello spettatore è immodificabile. Non sempre è così, e non è così per Il Paese di Fronte.
Anche per chi come me conosce bene la storia del suo paese, ci sono parole ed immagini che ti entrano profondamente nelle viscere e che ti squarciano il cervello. Perché, è anche questo il merito, il documentario offre la informazione base alla persona spensierata che non sa dove si trova la Shqipëria, ma offre dosi di verità insospettabili anche all’esperto che forse si avvicinano cauto e prevenuto.
La storia dell’Albania, dunque, per di più concentrata nel periodo che va dal 1912-1991, ma non dribbla quando si tratta di parlare di altri periodi, uno su tutti e sempre lui: Scanderbeg.
Tutti passano sotto il binocolo di Sejko/Brescia, ed esattamente come la storia, anche i nostri non perdonano nessuno. La storia è bella proprio perché è cruda, essenziale, elimina le scorie e ti consegna solo il concetto.
Tutto diventa più facile, bianco o nero. Ma questa volta non si tralascia dal descrivere bene non solo i fatti, ma anche le situazioni che portarono a quello scelte. E anche se ad una prima vista il target di riferimento può sembrare quello italiano, visto che l’occhio si concentra si più sui rapporti tra i due paesi, questa è solo una delle letture possibili, e più tosto che diventare un limite al documentario, diventa invece una forza aggiunta.
Il tutto impreziosito da interviste importanti come a Ismail Kadare, all’onorevole Carlo d’Azeglio Ciampi e a Sergio Staino, per citarne solo alcuni.
Ma la vera perla all’occhio rimangono i filmati di epoca, frutto di una ricerca meticolosa in immensi archivi che non oso ne anche immaginare. Ci sono filmati che non hanno prezzo, ed accompagnano i concetti di cui sopra.
Vedere lo sbarco di Wied a Durazzo. Vedere i nobili albanesi che offrono la corona al re italiano. Vedere l’entrata dei partigiani a Tirana. Vedere la prima sfilata della nascente potenza socialista, ridicola sotto tutti i punti di vista. Vedere i primi confusi prigionieri politici in manette. Vedere la fucilazione degli stessi. Vedere la nostra storia.