Il Kanun è una legge che è stata raccolta come i chicchi di grano in questa grande povertà. (Ndrek Pjetri)
Il mito di Doruntina e Costantino racconta una storia, che ogni Albanese e ogni Arbereshe conosce: l’unica figlia di una vedova, viene sposata lontanissimo dal fratello, il quale promette all’anziana donna, oramai costernata dalla guerra e dalla povertà, di riportarle l’amata figlia ogniqualvolta ne avesse bisogno.
Ma l’inverno per la povera donna è stato molto duro e freddo, le ha fatto perdere nove figli sul campo di battaglia, tra cui Costantino. Piangente sulla tomba del figlio, la donna lo rimprovera d’essersene andato senza aver tenuto fede alla promessa (Bessa) di riportarle Doruntina.
Allora Costantino esce dalla tomba e, dopo un lungo viaggio, riporta la sorella dalla madre. Il grande scrittore Ismail Kadare, nel suo libro “Chi ha riportato Doruntina?”, attingendo al grande patrimonio leggendario del suo Paese, ripropone il mito di Costantino come un thriller fuori dal tempo.
Il capitano Stres, incaricato di far luce sull’evento, così riferisce sull’accaduto: “Voi tutti avete già sentito parlare (….) delle strane nozze di Doruntina Vranaj, nozze che stanno all’origine di questa storia.
Saprete certamente, ritengo, che questa unione lontana, la prima conclusa in un Paese tanto distante, non sarebbe avvenuta se Costantino, uno dei fratelli della sposa, non avesse dato la propria parola alla madre di riportarle Doruntina ogniqualvolta lei avesse desiderato la sua presenza, in occasione di gioie e di dolori.
Sapete anche che i Vrenaj, come tutti gli albanesi, non hanno tardato a essere colpiti da un lutto atroce. E tuttavia, nessuno riportò Doruntina, perché colui che aveva promesso di farlo era morto. Siete anche al corrente della maledizione che la signora-madre pronunciò contro il proprio figlio per violazione della bessa, e sapete che, tre settimane dopo che fu proferita quella maledizione, Doruntina riapparve infine in casa dei suoi.
Ecco perché affermo e ribadisco che Doruntina non è stata riportata da altri che dal fratello Costantino, in virtù della parola data, della sua bessa. Quel viaggio non si spiega né potrebbe spiegarsi altrimenti.
Poco importa che Costantino sia uscito o no dal sepolcro per compiere la propria missione, poco importa di sapere ch fu il cavaliere che partì in quella notte oscura e quale cavallo sellò, quali mani tennero le redini, quali piedi poggiarono sulle staffe, di chi erano i capelli ricoperti della polvere del cammino.
Ciascuno di noi ha la sua parte in questo viaggio, perché la bessa di Costantino, colui che ha riportato Doruntina, è germogliata qui fra noi. E dunque, per essere più precisi, si può dire che, attraverso Costantino, siamo stati noi tutti, voi, io, i nostri morti che riposano nel cimitero accanto alla chiesa, a riportare Doruntina.”“ Nobili signori (…) vorrei dirvi (….) che cosa è questa forze sublime in grado di infrangere le leggi della morte. (….) Cercherò di spiegarvi perché questa nuova legge morale è nata e si diffonde fra di noi.”
“Ogni popolo, di fronte al pericolo, affina i suoi strumenti di difesa e –questo è l’essenziale- ne crea di nuovi. Bisogna avere la vista corta per non comprendere che l’Albania si trova di fronte a grandi drammi. Presto o tardi, giungeranno fino ai suoi confini, se già non vi sono arrivati. Allora, si pone la domanda: in simili nuove condizioni di aggravamento dello stato generale del mondo, in quest’epoca di sfide, di crimini e di odiose perfidie, quale sarà il volto dell’Albania? Sposerà il male o vi si opporrà?
In breve, cambierà volto per adattarsi le maschere dell’epoca, onde assicurare la propria sopravvivenza, o manterrà un volto immutato, col rischio di attirare su di sé la collera dei tempi?
L’Albania vede avvicinarsi l’era delle prove, della scelta fra quei due volti. E, se il popolo albanese ha cominciato a elaborare nel più profondo di sé delle istituzioni tanto sublimi quanto la bessa, ciò sta ad indicare che l’Albania è sul punto di fare la sua scelta. E’ per portare questo messaggio all’Albania e al resto del mondo che Costantino è uscito dalla tomba. ”La Besa, o Bessa, come dice Kadarè è all’origine stessa della società albanese.
Dalla Besa prendono vita “strutture eterne più stabili delle leggi e delle istituzioni esteriori, strutture eterne ed universali insite nell’uomo stesso, inviolabili ed invisibili e perciò indistruttibili” (Ismail Kadarè, Chi ha riportato Doruntina?, Longanesi, pag 129).
La Besa è la parola data da Costantino alla madre. Il termine, intraducibile in qualsiasi altra lingua, indica il rispetto dei patti, delle regole e dell’ordine. Significa mantenere la parola, garantire la tregua, assicurare la protezione dell’ospite. E’ quindi collegata all’onore, al rispetto della parola data, all’ospitalità, a quanto vi è di più sacro, ma è anche vendetta e sangue.
E’ il Kanun che istituisce la Besa, sintesi delle istanze che reggono l’intera organizzazione sociale albanese. Il Kanun di Lek Dukagjini – riportato alle stampe dall’antropologa Patriza Resta, per i tipi della Besa Editrice (1996) – è un codice di leggi consuetudinarie, che si sono tramandate oralmente per secoli.
Pur modificati, alcuni dei valori in esso contenuti, costituiscono il nocciolo duro dell’identità albanese. La traduzione di Kanun è Canone, cioè regola, ma la radice etimologica è riga o righello. La riga serve a mantenere l’ordine: da bambini scrivevamo sui quaderni a righe, così le parole erano allineate.
Il Kanun mantiene l’ordine, l’integrità e la sua etimologia lo garantisce. Secondo Ndrek Pjetri, capo della rinata Associazione per la fratellanza e la pace, “ il Kanun è stata la legge, il modo di vivere del popolo albanese, la nostra tradizione giuridica e rappresenta in parte anche la nostra libertà nazionale” ( Resta P. (a cura di), Il Kanun di Lek Dukagjini, Besa Editrice, pag. 15).
In quanto tale esso prescrive atteggiamenti positivi ed eleva al rango di fede il rispetto nei confronti della parola data. Questo è il principio trasposto, col suo alto lirismo, dal grande scrittore Kadarè in Chi ha riportato Doruntina?.
(Dedicato al prof. Sante Grillo)