Albanianews ha incontrato Mirush Kabashi, noto artista albanese, ospite al Festival delle Culture di Ravenna nella serata dedicata all’Albania. Attore di teatro e cinema, professore dell’arte dell’interpretazione, Kabashi vanta all’incirca 100 ruoli nel teatro, 20 da protagonista nel cinema, e alcuni premi e riconoscimenti nazionali e internazionali.
Negli ultimi anni ha messo in scena “La vera Apologia di Socrate” di Kostas Varnalis e “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano” di Erich-Emmanuel Schmitt, due opere letterarie che ha proposto al pubblico albanese come monodrammi. Lo abbiamo intervistato proprio per capire i motivi che l’hanno spinto a scegliere queste due opere e parlarci della società albanese e della condizione del teatro in Albania.
Lei è un artista molto noto per il pubblico albanese, considerato che i nostri lettori sono anche italiani, ci può raccontare qualcosa di se? Chi è l’artista Mirush Kabashi, quali sono i momenti più importanti della sua vita e perché ha scelto di diventare artista?
Credetemi, non c’è cosa più difficile per l’uomo quando deve raccontare di se, sarebbe più facile parlare di qualcun’altro. Brevemente, sono figlio di una famiglia albanese. Mio padre è kosovaro, originario di Gjakova, mia madre di Durazzo, entrambi molto attaccati all’educazione e all’istruzione dei figli. Un desiderio, o meglio, un sogno di quella regione d’Albania (il Kosovo ndr) che ha avuto la sfortuna di rimanere fuori dai confini albanesi e voleva istruire i suoi figli in scuole in lingua albanese.
Ricordo che durante l’infanzia ero appassionato di teatro e film. Adesso sorrido quando mi viene in mente che un film, ad esempio, l’Amleto l’ho visto più di 15 volte nelle posizioni più svariate, nei cinema invernali ed estivi, comunque ho sempre avuto il desiderio di guardare film, ammirare e discutere sugli attori protagonisti.
Invece l’avvicinamento all’arte dell’interpretazione è stato casuale. Certe volte capitano miracoli nella vita. Sono il terzo figlio della mia famiglia e all’epoca, secondo un criterio assurdo, il terzogenito non poteva essere ammesso all’università se la frequentavano i primi due. Considerato che avevo partecipato in alcuni festival delle scuole medie superiori ed ero stato individuato come studente con una certa predisposizione a diventare attore, mi è stata data l’opportunità di accedere al concorso di ammissione. Era l’unica opportunità che avevo, o studiavo per diventare attore, o rinunciavo all’università. Mio padre non era molto entusiasta ma l’hanno convinto i due fratelli maggiori. Mi sono preparato e ho vinto il concorso. In accademia sono stato uno studente medio ma ho avuto la fortuna di lavorare con docenti e registi illustri albanesi come Pirro Mani.
Comunque la vera scuola artistica e teatrale l’ho fatto a Durazzo. Una parte degli attori anche se non avevano studiato in accademia, erano veri maestri della scena, persone con una passione straordinaria e un talento immenso. In teatro abbiamo avuto la fortuna di lavorare anche con un albano-italiano, Nikolin Xhoja, attore ormai scomparso. Non esagero se lo definisco un talento internazionale che non ha avuto l’opportunità di esprimere a pieno le proprie doti artistiche per via delle condizioni e dell’isolamento del paese. Mi ricordo un suo ruolo al Matrimonio di Gogol. Sono convinto che se lo interpretava al Teatro Bolshoi di Mosca, la critica russa si sarebbe inchinata di fronte alla meraviglia interpretativa che Xhoja faceva solo sulla base dell’intuizione.
In teatro sono cresciuto come attore, ho passato molte vicissitudini come altri miei colleghi, e successivamente ho interpretato nei film e negli spettacoli teatrali. Posso dire con convinzione che non ho temuto o evitato mai il lavoro in qualsiasi condizione. Quando si tratta di interpretare e avere l’opportunità del contatto con lo spettatore non mi sono mai tirato indietro, al contrario mi sono messo al gioco con coraggio. L’ho dimostrato anche stasera al Festival nel ramo della recitazione.
Ha lavorato circa 20 anni per mettere in scena il monodramma “La vera Apologia di Socrate”. Ho letto che per la prima volta l’ha fatto parzialmente negli anni settanta, invece dopo la caduta del regime, il primo spettacolo risale al 1997. Ha vinto alcuni premi e riconoscimenti internazionali per questo monodramma tra cui anche “La Sfinge d’oro” nel Festival Internazionale del Teatro Sperimentale di Cairo, nel 1997. Perché ha scelto proprio quest’opera e perché ha deciso di metterla in scena prima negli anni settanta per poi riproporla nel 1997?
Voglio fare una piccola precisazione. Non è esatto che ho messo in scena quest’opera negli anni settanta. All’epoca ero all’ultimo anno dell’Accademia. Però c’è del vero: ho fatto un suo frammento. L’opera non è drammatica ma è un pamphlet politico-satirico di un grande satirico greco Kostas Varnalis, probabilmente uno dei più grandi satirici del XX secolo. Mi aveva impressionato un monologo dell’opera, naturalmente, non a caso. Non mi hanno spinto le ragioni artistiche a scrivere sull’opera, ma i suoi contenuti, perché era un’accusa molto forte, un parallelismo con la realtà terribile e il sistema autoritario e totalitario dell’Albania degli anni Settanta. Io ho presentato il frammento come lavoro di ricerca ma successivamente mi ritornava sempre in mente.
Allora sapevo teoricamente che potevano essere elaborate e ci sono monodrammi che come forma artistica vengono interpretati da un attore, ma non avevo avuto la fortuna di seguire l’esperienza mondiale su questo ramo. Anche quando guardavamo qualcosa, lo facevamo di nascosto, dal 1975 in poi, in qualche canale televisivo straniero. Ho iniziato a pensare che da quest’opera letteraria si poteva costruire un monodramma, ed era un mio desiderio che condividevo con pochi. Negli anni Ottanta, ho provato a metterla in scena nella televisione pubblica, in una trasmissione in cui erano invitati molti attori e ognuno doveva interpretare un pezzo. Io ho fatto Socrate convinto che l’avrebbero tagliato al momento della trasmissione. Per mio grande stupore, è stato trasmesso tutto. Ovviamente mi ha causato guai. Mi hanno convocato al Comitato del Partito e mi hanno chiesto cosa volessi esprimere con il pezzo. Ho fatto la parte del tonto, come facevano spesso le persone all’epoca, per salvarmi e dimostrare che non avevo intenzioni eversive.
Con la caduta del regime e l’avvento della democrazia, ho pensato che il mio sogno di mettere in scena l’Apologia di Socrate si fosse vanificato perché c’era l’illusione che ci si stava incamminando verso un nuovo mondo e la democrazia avrebbe risolto tutte i problemi. Comunque, per me era il sacrificio minore perché eravamo riusciti finalmente a far parte di un altro sistema. Pero il 1997, siamo coscienti, è stato un anno che non si ricordi mai per quello che è successo, oppure si ricordi per non essere più ripetuto. È stato un anno tragico, senza precedenti. Allora, da cittadini e non da artisti, ci siamo messi di fronte alla responsabilità di dire una parola, di esprimere la nostra indignazione, di erigere uno specchio perché le persone che hanno generato il 1997 con il loro egocentrismo estremo e l’assenza totale di responsabilità, mi riferisco ai politici, potessero vedere le deformazioni e la sciagura enorme che avevano causato al paese. Le hanno procurato un danno immane, al punto che rischiava di non rifarsi più, per dirla con il grande Kadare, e quindi dovevano saperlo per non ripeterlo più e sentirsi colpevoli. Ho scelto Socrate per dire una parola come cittadino, familiare, albanese.
L’attore non ha la possibilità di esprimere se stesso ma dipende dalla parte che gli assegnano, dalla regia, dai collaboratori, dai colleghi. Invece, scegliendo un monodramma, può esprimersi, dire quello che è e giudica. Dall’altra parte, sembra che scegliendo quest’opera mi sono trovato nella stessa lunghezza d’onda con la posizione di tutti i miei concittadini, anche se Socrate colpisce molto quella folla senza cervello che elegge e mantiene la sovrastruttura. A mio avviso, la democrazia è pari alla cultura, alla responsabilità. Non è un campo di fiori ma ognuno si deve assumere le proprie responsabilità ed essere attivo nella società se vuole costruire una vera democrazia. E l’Apologia di Socrate colpisce molto anche la base popolare, il basso livello culturale, l’ignoranza che sta a guardare e soltanto quando si toccano i propri interessi, inizia a ribellarsi. Dall’altra parte, colpisce soprattutto chi sfrutta quest’ignoranza per motivi personali, di profitto, commerciali e chi gioca con il futuro della nazione e del paese, con le aspirazioni di quella parte della società che tenta di trascinarla tutta verso il progresso e l’Europa. L’Europa è sempre stata il sogno degli albanesi. Su questo aspetto mi sembra che il monodramma abbia coinciso con le aspirazioni dei miei concittadini e ovunque l’ho fatto, dai palasport alle sale più piccole, mi sono trovato e sono stato accolto bene.
Nel 1997, ho partecipato per caso al Festival di Cairo, non sapevo cosa fosse il monodramma, andavo con la responsabilità che almeno non fossi nominato in negativo. A Cairo, una giuria presieduta dal Direttore dell’Accademia Nazionale dell’Arte drammatica “Silvio D’Amico”, Luigi Maria Musati, ha espresso un’ammirazione straordinaria per la mia forma interpretativa, assegnandomi il premio come l’attore migliore in un festival in cui partecipavano mille attori da più di 50 paesi. Direttamente da Cairo, sono andato a metterlo in scena nella Valona delle bande armate e poi in tutta Albania. Questo Socrate ha aperto la stagione teatrale di quel anno sinistro in molte città albanesi. Poi, in maniera e sinistra, segmenti della politica hanno tentato e ci sono riusciti a impedirmi per quattro anni a metterlo in scena. La benevolenza del pubblico e le sue richieste mi hanno motivato ad andare avanti, superare e lottare contro gli ostacoli. Avrei preferito che il monodramma non fosse più attuale e riguardasse il passato. Non mi dispiacerebbe sacrificare Socrate per la creazione di una nuova realtà senza le problematiche messe a fuoco da lui. Purtroppo, queste problematiche sono presenti anche dopo il 1997 e l’opera continua ad essere molto attuale.
Soffermandosi al pubblico. L’anno scorso ha fatto il centesimo spettacolo e il pubblico continua a dimostrare grande interesse. Cosa trova in Socrate e dove si identifica in esso?
Trova le problematiche, l’insicurezza, l’assurdità del percorso della vita non nella giusta direzione, non nella direzione della democrazia e della realizzazione delle aspirazioni. La democrazia è cultura, è ideale e verso questo sistema possono trainarci solo gli idealisti, solo le persone che fanno nome sulla base del loro impegno e non sulla base del profitto. Oggi, purtroppo, sempre di più la classe politica che si è creata, non considera come l’avversario principale l’opposizione ma coloro che hanno dignità e lotterebbero per i valori, sia giovani che vecchi. Al mio paese e alla società albanese non mancano le capacità, ma il clima che queste si evidenzino e trainino l’intera società, perché c’è una politica basato sul pragmatismo del profitto, dei concetti e dei complessi atavici dell’IO, e quest’ultimo è molto pericoloso.
L’atavismo maggiore non sta nel linguaggio utilizzato che è solo conseguenza dello scontro politico, l’atavismo maggiore sta nel fatto che le parti non riconoscono la legge della rotazione e i capi partito trasformano i partiti in loro proprietà. Nessuno alza la voce per dire che l’antidemocrazia inizia proprio da questo aspetto in Albania. Ormai i partiti sono diventati proprietà di alcuni politici che badano i loro interessi, gli altri non si oppongono e ciò porta alla monopolizzazione della democrazia. La società albanese è preoccupata sull’andamento di queste elezioni che determinano il futuro dell’Albania dopo tanta benevolenza da parte degli Stati Uniti e dell’Europa.
In uno dei monologhi del monodramma lei dice, cito, “Coloro che sono al potere tremano e temono ogni mezzo…”
No! Coloro che sono al potere tremano e temono i cambiamenti, quelli rovesciati sognano questi cambiamenti e si adoperano per raggiungerli con ogni mezzo. Ahimè, il popolo! Sta in mezzo, paga i danni, subisce e soffre lo stesso sia quando il potere si chiama dittatura, sia quando si chiama democrazia.
Questa è una delle frasi più pungenti di Socrate.
Appunto. Cosa può fare la nostra società per uscire da questo labirinto? Ormai, conosciamo il sistema, forse servono attori interni per riuscire a cambiarla, ad esempio, i giovani?
Non penso che con gioventù si intende l’età. Essa non è una questione d’età ma di mentalità. Ci sono persone che nascono vecchi, altri che muoiono giovani. Mentalità giovane significa la mentalità delle persone che assumono responsabilità, sacrificano per dire la verità, per introdurre leggi e regole di gioco ormai già provate e collaudate dalle altre democrazie. Naturalmente non possiamo essere non realisti e pensare che quello che gli altri popoli hanno ottenuto in decine di anni, noi riusciremo ad ottenerlo in alcuni giorni, settimane, oppure in due decadi. Pagheremo il tributo all’assenza di una tradizione democratica, ma non dobbiamo perdere le opportunità che vi vengono date.
È il nocciolo della questione, non dobbiamo perdere le opportunità che ci vengono date. Per questo servono al governo persone idealiste. Tutti possiamo fare qualcosa, anche voi potete fare molto. Forse, in maniera particolare tutti coloro che hanno iniziato l’avventura dell’emigrazione per via di motivi sublimi, e attualmente stanno contribuendo con centinaia di milioni di euro per la ripresa dell’economia albanese. Anche voi, organizzandovi potete fare molto perché portate, grazie ai paesi e all’esperienza che acquisite, una mentalità emancipata e utile per la fragile e talvolta deformata democrazia albanese.
Leggendo articoli e recensioni sull’Apologia di Socrate, mi ha impressionato il commento di una ragazza: “Mi piace l’idea degli attori di sfruttare le opportunità che hanno per dire la loro. Ho riso con l’ironia stridente di Kabashi e ho pianto con la conculcazione che è riservata all’uomo libero nella nostra società. Durante lo spettacolo volevo gridare solo una domanda “Adesso che hanno condannato a te Socrate, si è sanata la morale degli oppressori?”. È una domanda che voleva fare a lei…
E voi lo fatte a me. Mi piace molto, sinceramente mi emoziona infinitamente questo commento perché è molto azzeccato e sentito.
Appunto. E ne aggiungo un’altra. Avrebbe più fortuna un Socrate oggi in Albania?
Sono convinto che se non si beve anche egli la coppa di veleno, emigrerà, ovviamente non con il visto regolare, forse anche con i gommoni, tuttavia, mettendo a rischio la sua vita. Non potrebbe sopportare la profanazione che viene fatta alla verità, il percorso sbagliato che ha assunto la giustizia, il deturpamento della sanità, dell’istruzione, la cui qualità cala sempre di più a spese della tradizione consolidata in questi decenni, l’abbandono dell’arte e della cultura. Si parla in questa campagna elettorale soprattutto dell’economia, dicono cifre e promesse infinite, ma nessuno parla di arte e cultura che sono la base.
In una società come quella della Comunità Europea non ci aderisce se non ci sarà un’emancipazione della nostra società. Non siamo indietro dal punto di vista economico. I cambiamenti fisici sono in alcune parti straordinarie, ma la mentalità è indietro. Questa è la problematica principale e qualche volta ho l’impressione che ci sia una tendenza regressiva. Una mentalità può evolversi solo grazie all’arte e alla cultura. Il nodo che dobbiamo capire è investire nella cultura ma anche nello sport, una sua parte importante. Basta vedere quanto si investe sull’arte e la cultura per non dire che si rischia che anche il Teatro Nazionale, tempio della nostra identità nazionale, venga demolito per lasciare il posto a qualche grattacielo. Mi sa che c’è stato questo tentativo e che comunque il rischio di demolirlo c’è ancora.
Con tutte queste assurdità, Socrate si alzerebbe un’altra volta dalla tomba ma per trovare e bersi una miscela più forte di veleno. In Albania succedono tragedia all’interno della famiglia che forse neanche Shakespeare non le avrebbe percepito con la sua fantasia per poterle descrivere. Sono dolenti, eccezionali e non ci sono reazioni in merito. Noto con piacere, nel senso della dignità, le regioni e i paesini italiani che quando succede un qualche fenomeno negativo, si attivano perché non si ripeti più. Invece da noi c’è silenzio totale. Sembra che sia diventata normale all’interno della famiglia che il padre uccida il figlio, i figli alzino la mano contro i genitori, i fratelli si uccidano tra loro per un metro quadrato di terra e qualche volta anche per convinzioni politiche. Tutta esasperazione dall’alto. Non si tratta di battaglie o scambio di idee ma di un’esasperazione atavica, aggressiva, patologica tra le persone che dall’alto scende fino alle famiglie e si crea un clima molto teso. Dobbiamo eliminare l’aggressività e la mancanza di tolleranza che la politica tiene accesa e trasmette negli altri segmenti della società. È un danno culturale irreparabile, non c’entra con la mentalità democratica e neanche con l’esperienza di altri paesi, che voi vivete.
Soffermandosi alle problematiche della società albanese, quest’anno ha messo in scena “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano” di Eric-Emmanuel Schmitt. Perché dopo “La vera Antologia di Socrate” ha scelto proprio quest’opera e ha lavorato cinque anni per trasformarla in monodramma? Quali sono i messaggi che trasmette?
Da Socrate in poi, durante questo periodo di 12-13 anni, ho letto, sfogliato e mi hanno suggerito monodrammi molte persone. Mi sono sembrati simili alla parte di Socrate, perché erano principalmente di carattere filosofico. Non volevo ripetermi e dire qualcosa che avevo già detto. Quando ho avuto la fortuna di leggere l’edizione tradotta di “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano”, ho notato che anche se c’erano molte somiglianze con Socrate, lo stile era completamente diverso.
Se Socrate parla dei grandi problemi dell’organizzazione della società ai livelli della sovrastruttura o dei rapporti della sovrastruttura con la base, “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano” parla della cellula della società, quindi non solo della famiglia, ma forse anche dell’atomo della società, l’uomo. Parla di bontà, tolleranza, amore, di due uomini comuni: un ragazzino che si sta degenerando per via delle condizioni familiari e un uomo che ha un negozio in un quartiere periferico di Parigi. Loro trovano l’uno l’altro sulla base dell’amore, del rispetto e danno senso alla loro vita grazie alla bontà. Sembra una storia comune quando la racconti però ha un senso straordinario. Nonostante uno fosse ebreo e l’altro musulmano sono riusciti a creare una famiglia molto bella.
Che importanza ha se il ragazzo si chiamava Mose e dopo ha convertito il nome in Maometto. È importante che loro sono riusciti a trovare l’uno l’altro, il motivo per vivere e contribuire come potevano. Uno come negoziante con la sua bontà ha trasformato un ragazzino che stava prendendo una brutta piega per via di alcune condizioni familiari giustificabili, l’altro come bambino ha trovato il senso, l’amore e il rispetto per la vita, il motivo per vivere in Ibrahim e ha iniziato a contribuire nel suo negozio in quel quartiere di Parigi. Detto cosi, mi dispiace molto perché lo banalizzo, ma in quest’opera c’è molto poesia e cosi tante verità che non a caso è stata messa in scena in molti paesi dell’Europa occidentale. In Francia vi hanno girato anche un film in cui Omar Sharif interpreta la parte di Ibrahim.
Io l’ho trattato come monodramma e provo piacere di ricordare ai miei concittadini che non è ricchezza ciò che tentiamo di ottenere in maniera insaziabile, non è la ricchezza materiale ad arricchire l’uomo. La vera ricchezza dell’uomo è il cognome, il suo contributo durante la vita, la purezza del contributo che lascia alle generazioni successive. È molto importante per la società, per tutti i tipi di società, ma in modo particolare per la società albanese il risveglio del fatto di essere uomini.
Come ha accennato anche lei, in questa campagna elettorale non si è parlato di arte e cultura. Quali sono le condizioni del teatro in Albania? Ci sono apporti nuovi? Quale potrebbe essere le soluzioni?
Constatiamo che il pubblico sta ritornando pian piano al teatro. Ormai c’e un pubblico che segue, riempie le sale. Non mi riferisco solo alle anteprime ma anche agli spettacoli di turno: c’è interesse, le persone chiamano, si informano, vengono. Ed è un buon segno. La società albanese sta ritornando al cibo spirituale cosi indispensabile per il suo futuro. Le problematiche ci sono. Per primo, non si dimostra alcun interesse a investire nel teatro. Nella condizione in cui versa attualmente, il teatro non può andare avanti senza investimenti perché il costo del biglietto è molto basso rispetto ai costi reali di uno spettacolo. Non si può aumentare il prezzo del biglietto perché non possono più venirci gli impiegati o gli intellettuali che compongono il pubblico attivo di un teatro. Ma le problematiche vanno oltre gli aspetti economici. Come l’ho accennato prima, non solo non ci sono progetti per costruire nuovi teatri ma anche quando c’è ne uno per fare un teatro al Centro Internazionale di Cultura a Tirana, lo si fa con l’obiettivo di spostarvi il Teatro Nazionale dall’edificio esistente per demolire quest’ultima è costruirvi un centro commerciale. È tragico.
I teatri nelle città sono lasciati alla discrezione dei sindaci. Non ci sono progetti per lo sviluppo di questo settore in cui abbiamo una tradizione veramente buona, e forse anche nella cinematografia. A prescindere dai mali del sistema comunista, durante quell’epoca, per ovvie ragioni ideologiche, si è investito sulla cinematografia e il teatro, e si è riuscito a creare una pleiade di attori e accademie di regia, teatro, cinematografia, degne per una società normale. Il fatto che buona parte dei film del regime anche se con contenuti ideologici sono ancora preferiti dai giovani, dimostra che i contenuti e la qualità artistica non mancavano. Ma bisogna sperare, la speranza è ultima a morire.
Intanto, siamo prossimi alle elezioni e dobbiamo sperare che uno dei partiti assuma la responsabilità patriottica, morale, civica e accetti la sconfitta elettorale. A mio giudizio, sarà il vero vincitore di queste elezioni, invece le altre problematiche si risolveranno pian piano. Come dice Kadare, il tempo sta parlando di noi, sfruttiamolo, non mettiamogli una barriera. Siamo tutti preoccupati di quanto succede in Albania e ci auguriamo che si superino tutti gli ostacoli e una delle parti accetti la sconfitta.
Una domanda legata alle sue origini kosovare. Durante la guerra in Kosovo, lei ha fatto tour in Europa con altri artisti per la raccolta dei fondi. Oggi, si può considerare realizzato l’obiettivo per il quale anche lei ha dato il suo contributo?
Non sono in grado di dire molto su questo aspetto. Noi ci siamo impegnati con cuore e anima. Credetemi, è stata un’esperienza molto dura. Le polizie dei paesi quali Svizzera, Germania, Svezia, ci facevano uscire dalle sale per la paura di ordigni messi da estremisti serbi. Allora viaggiavamo di notte per spostarci da una città all’altra e dare spettacolo per i nostri connazionali traumatizzati, kosovari e albanesi. In quel periodo, si tratta del 1998, non si sapeva quale sarebbe stato il futuro del Kosovo e degli albanesi.
Siamo una generazione che ha avuto molte problematiche, ma allo stesso tempo siamo fortunati perché abbiamo vissuto due eventi straordinari, unici nella storia di una nazione: il cambiamento del sistema da un’autocrazia estrema verso una democrazia, e ultimamente, Dio ci ha dato la grande soddisfazione di poter assistere all’indipendenza del Kosovo, di vedere gli albanesi, i nostri fratelli kosovari, padroni nelle loro terre antiche. In questo senso, a mio avviso, tutti coloro che hanno dato il loro contributo, come l’abbiamo fatto anche noi, per quanto il nostro sia stato minimo, sono stati appagati. Non va dimenticato che il contributo maggiore l’hanno dato coloro che hanno perso la vita, o hanno lottato con le armi, o si sono impegnati con la parola e la penna. Lo considero un trionfo eccezionale.
Lei è un attore ma, a sua volta, anche uno spettatore del suo pubblico. Nota una differenza tra il pubblico albanese in Albania è quello che la segue all’estero?
Oggi è stata un’esperienza davvero piacevole per me. Alcune settimane fa, sono stato ad Atene per mettere in scena Socrate e naturalmente tra gli spettatori greci c’erano anche nostri connazionali e noto che gli emigrati, o meglio, gli albanesi che vivono in questi paesi sono sempre più vicini alla loro dignità, cultura, capacità e opportunità. Se negli anni precedenti costituivano un grande dolore perché fuggivano, adesso sono una garanzia per il progresso della nostra nazione.
A mio giudizio, anche voi, grazie al percorso che avete intrapreso per mostrare la vera immagine dell’Albania e degli albanesi all’estero, potete fare molto. Conoscendo gli ostacoli, le mancanze, e coscienti che siamo unici per quanto riguarda la vitalità, le capacità, il sacrificio, il senso del bello, possiamo dimostrare agli altri la nostra essenza. Non dimentichiamo neanche la generosità straordinaria che abbiamo dimostrato nel 1999, quando un popolo di 3 milioni è riuscito a ospitare 800 mila connazionali kosovari. È migliorata l’armonia tra le persone, non ci sono stati furti, dissidi, è stato un vero miracolo che dimostra che nei nostri geni c’è qualcosa per la quale meritiamo di essere europei. Mostriamo al mondo questi aspetti di noi, facciamolo tutti insieme. Voi potete dare un contributo importante per l’Albania, non solo dal punto di vista finanziario ma anche tramite la mentalità che avete acquisito all’estero. È molto importante per noi. Organizzatevi come tutti gli altri e trainateci.
Ci può dare una sua opinione personale sulla questione dell’Accademia Marubi che Albanianews ha seguito negli ultimi mesi?
Parlare nello specifico di Marubi, forse è difficile. Penso però che bisogna essere tolleranti quando si tratta di arte e cultura. Posso dire una frase su Marubi ma che riguarda anche tutti gli altri rami della cultura e dell’arte. Se vogliamo giudicare i nostri politici sul sistema delle tasse, quando si parla dell’arte non ci deve essere nessuna tassa perché l’arte è un cibo indispensabile che definisce il nostro cammino riguardo al progresso.
Intervista rilasciata in lingua albanese il 6 giugno 2009.
Tradotto per AlbaniaNews da Alban Trungu e Darien Levani.