A metà marzo la vedremo nella miniserie televisiva di due puntate “La mia casa è piena di specchi” accanto a Sofia Loren e Margareth Madè.
In un intervista per Bota Shqiptare, Xhilda Lapardhaja racconta le sue emozioni provate durante i due mesi di riprese con una delle stelle della cinematografia mondiale. Racconta, però anche la sua quotidianità, con gli interrogativi tipici di tanti figli di emigrati, che pur facendo in Italia la stessa vita dei loro coetanei italiani ed avendo l’albanesità nel Dna, spesso si sentono stranieri qua e stranieri in patria.
Xhilda arriva all’appuntamento prefissato con qualche minuto di anticipo: sorridente come sempre, vestita semplicemente, jeans, tshirt, giacca di pelle e sciarpa intorno al collo. I capelli raccolti e occhiali da sole, senza un filo di trucco. In mano un libro di Galimberti e una copia de Il Fatto quotidiano “l’unico giornale che mi piace leggere ultimamente” dice e non riusciamo a non spendere due parole sulle vicende politiche italiane e specialmente sulla coppia esplosiva Berisha-Berlusconi, visti i loro progetti nucleari in Albania.
Xhilda Lapardhaja, la giovane attrice albanese, la vedremo recitare accanto a Sofia Loren nella miniserie “La mia casa è piena di specchi”, in onda su RAI Uno domenica 14 e lunedì 15 marzo in prima serata. Nella fiction, Xhilda ha il ruolo della sorella di Sofia, mentre Sofia fa sua madre.
È difficile per Xhilda parlare di sé stessa, dare interviste. Dice con naturalezza che quando interpreta un personaggio si sente legittimata di dire e fare tutto, mentre quando si tratta di parlare circa il suo lavoro non trova le parole giuste. “Questo è il bello del mio lavoro. Entri nella pelle di tanti personaggi diversi, e quando vesto i loro panni, non è più Xhilda Lapardhaja che parla o fa qualcosa, ma il mio personaggio. È una cosa meravigliosa. Ho notato con stupore (ma anche paura all’inizio) che quando entro nel ruolo, supero ogni limite di me stessa”.
Anche se non è la prima volta che lavora accanto ad una stella del cinema, parla con passione e emozionata dei due mesi delle riprese, durante i quali non poteva rimanere indifferente al fascino della Loren. “Il primo giorno avevo le mani sudate” racconta Xhilda. E aggiunge che col passar dei giorni è rimasta meravigliata dal lavoro instancabile, la semplicità, la generosità, cose che magari non ti aspetti da una grande attrice. Racconta divertita che sul set, visto che ha lavorato spesso con lo stesso regista, tutti, da Sofia fino all’ultimo operatore, la trattavano come fosse la bambina del gruppo.
Oggi però, Xhilda non si sente più una bambina. Lavora da più di dieci anni. Ha fatto teatro, cinema e televisione, con registi e attori noti. Dal serial “Un medico in famiglia”, quando era ancora minorenne fino a questo ultimo film tv, passando per lavori con Paolo Villaggio e Toni Negri in teatro, oppure partecipazioni, importanti o piccole, in film di grandi registi come Abel Ferrara, o in serie tv di successo come L’ispettore Coliandro, La squadra, Distretto di polizia ecc. Per L’ispettore Coliandro si è meritata Premio Giuria Scuola per New Talent italiano.
Sofia Loren, Xhilda LapardhajaNew talent italiano? Ma che cosa è Xhilda Lapardhaja, italiana o albanese? È venuta qui quando era una bambina, ha studiato e lavorato solo qui (anche in Svizzera, qualche volta). Come racconta, però, lei stessa, ancora oggi non ha la cittadinanza italiana, deve ancora rinnovare il permesso di soggiorno. Mentre in Albania, durante questi 16-17 anni di residenza in Italia, è andata poche volte “forse 5-6 volte in tutto”, come dice lei stessa. E come tanti giovani venuti in Italia da piccoli oppure nati qua, le viene naturale parlare in italiano. Anche se capisce benissimo l’albanese, le viene difficile esprimersi per tutta la durata dell’intervista in madrelingua. Inoltre anche nella sua parlata si nota lo stesso problema di tanti altri albanesi cresciuti all’estero: gli accenti che non sempre corrispondono a quelli giusti, le “ë” messe un po’ a caso, le parole delle frasi ordinate in modo strano. Ride quando le dici tutto questo. Ma dall’altro verso, il suo italiano è puro e ricco, come di qualsiasi italiano che legge molto. Xhilda dice che “può fare danni quando entra in libreria”, quanto al vestire, ci pensa di più sua madre.
Anche se fa tutto quel che farebbe se fosse nata in Italia, anche se l’essere straniera non l’ha ostacolato né al lavoro né agli rapporti con gli altri, dice con amarezza che adesso capisce veramente cosa vuol dire “apolide”. “Straniera in Italia, straniera anche quelle rare volte che vado in Albania!” Comunque l’Albania se la porta nel cuore, ce l’ha nel Dna. Sorridendo però ti dice che forse è tanto patriota e tanto innamorata della sua patria, proprio perché non la conosce bene, perché la idealizza, perché le sono rimasti impressi i profumi e i luoghi dell’infanzia che non troverebbe più nell’Albania di oggi.
A quanto pare, in Italia, Xhilda è straniera solo quando deve rinnovare il documento di soggiorno, oppure quando lei stessa dice di essere albanese e al interlocutore chi sa perché “gli si vede tremare un po’ l’occhio”. Per il resto, lei vive come tutti i suoi coetanei o colleghi italiani, in questo paese che ama profondamente. “Non cambierei Roma per nessun altro paese del mondo”, dice sinceramente lei. Dall’altro lato, però, Xhilda è anche la bella ragazza testarda e fiera che quando Dino Risi le propone di cambiare nome in “Gilda Lapàr”, non ci pensa a lungo per rispondere al maestro “No, Grazie!”.
Intervista a Xhilda Lapardhaja
Tra pochi giorni ti vedremo in una fiction tv accanto a Sofia Loren. Com’è lavorare con una diva del cinema?
Ho lavorato per due mesi con la Loren, ho quasi tutte le scene con lei. La miniserie è tratta dal libro con lo stesso titolo “La mia casa è piena di specchi” della sorella della Loren, Maria Scicolone e racconta la storia di tre donne, la madre di Sofia Loren, e le sue due figlie. Sofia interpreta sua madre, Margareth Madè interpreta Sofia da giovane, mentre io faccio la parte della sorella, Maria.
Praticamente tutte le scene e tutto il mio percorso nel film l’ho fatto insieme alla Loren. Il primo giorno non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso. Non è facile realizzare che stai lavorando accanto ad una stella. Sei cresciuto col suo mito, hai visto tanti dei suoi film, “La Ciociara”, “Matrimonio all’italiana”, “L’oro di Napoli”.
Sono andata a guardare anche il suo curriculum, oltre i film che ho visto. Ha lavorato veramente con tutti i più grandi, registi e attori. E oggi la vedi che ha 75 anni, con una vita così, più piccola della mia, elegante e in forma. Il primo giorno la fissavo con gli occhi, sconvolta. Per farla breve, è stato un privilegio lavorare con la Loren. Lei è una grande attrice, ma anche molto ironica. Ha un’ironia di fondo che è bellissima.
Era la Loren che ti immaginavi?
Sapevo già che è una grande attrice, sia drammatica che della commedia italiana. Lei è bravissima in tutto questo. Ma non sapevo che è una donna ironica, generosa al lavoro, semplicissima. Veniva al mattino sul set e salutava tutti, dall’ultimo al primo, cosa che molti attori non fanno. Lei era gentilissima con tutti e infatti la adoravano tutti. Un’altra cosa: i grandi attori hanno una controfigura o qualcun’altro che dà le battute per loro (quando non vengono inquadrati). Lei invece mi dava tutte le battute di persona, stava sul set fino a che non finivano le riprese, anche se poteva essere stanca. Quindi generosa e grande professionista. Naturalmente, molto riservata però, non ti dava quella intimità che ti potresti avere con un collega coetaneo. Ma comunque è stata molto generosa con me e si è creato anche una bella atmosfera, nel senso che ci si confidava su alcune cose e scene del film.
Devo dire che il primo giorno mi sudavano le mani, ma pian piano mi sono sentita a mio aggio. Lei è stata molto brava a comportarsi in modo da non farmi pesare che era la Loren.
Ho avuto anche altri compagni, molto bravi: con Margareth Madè ho lavorato pochissimo, soltanto due scene. Raffaele Esposito, che interpreta mio marito è un bravissimo attore di teatro; Enzo Decaro che fa mio padre è divertentissimo. In più, col regista Vittorio Sindoni ci lavoro da quando avevo 15 anni; questo sarà il settimo o l’ottavo lavoro che faccio con lui. E siccome lui lavora sempre con la stessa truppe, ero un po’ in famiglia ed ero anche la bimba del gruppo. Perché nonostante io abbia ormai più di 25 anni, quando andavo sul set tutti mi chiamavano “la bambina”. Anche la Loren, quando il regista alzava un po’ la voce, lo riprendeva: “Non ti rivolgere così alla bambina!”. Diciamo che erano un po’ protettivi nei miei confronti.
Anche nel passato hai lavorato con grandi artisti: teatro con Villaggio, Negri, cinema con Abel Ferrara, tanto per nominarne qualcuno. Che ci puoi dire di queste esperienze?
Sono stata in una tournée di sei mesi con Villaggio, ed è stata la mia prima esperienza fondamentale in questa professione, perché ha rappresentato una crescita sia dal punto di vista umano sia dal punto lavorativo. Lui è proprio un mostro da palcoscenico: entra in scena e riesce a concentrare tutta l’energia e tutta l’attenzione su di sé. Riempire i teatri e vedere la gente che segue solo lui per due ore di fila, è fantastico. Com’è fantastico l’approccio che lui ha col pubblico.
In quella occasione ho imparato che significa rubare dagli altri: stare lì a vedere, osservare e cominciare a rubare piano piano. Inconsciamente, perché dopo ho elaborato, ma lì per lì vedevo cosa funzionava e cosa no, come superare certe situazioni e così v
ia.
Invece dal punto di vista umano, era la prima volta che mi allontanavo di casa per così tanto tempo, senza i miei genitori, quindi mi responsabilizzai tanto. Conoscere e relazionarmi con tanta gente, confrontarmi con la quotidianità, senza avere il filtro dei genitori è stato per me una grande scuola di vita.
Poi, in generale, tutte le esperienze lavorative che ho fatto, importanti e meno importanti, belle e meno belle, mi hanno lasciato senz’altro qualcosa. In qualche modo mi hanno fatto crescere. Per di più, io sono molto curiosa, sono come una spugna e prendo sempre qualcosa.
Hai un curriculum ricco per la tua età.
Non mi sembra. Ma comunque sono orgogliosa di poter dire che mi mantengo con questo lavoro, perché in una certa maniera questo dimostra che lo faccio seriamente, non è semplicemente una passione ma qualcosa di più importante per la mia vita.
Hai fatto tv, teatro e cinema. Cosa ti piace di più?
L’ordine delle mie preferenze è teatro, cinema e tv. Quest’ultima ti dà la notorietà, il cinema i soldi (ma mica tanti, come si potrebbe pensare) e il teatro ti dà il piacere. Ma sono tre cose completamente diverse una dall’altra. Al teatro lavori sul personaggio, fai tante prove ed ogni sera migliori il tuo personaggio, gli dai nuove sfumature, che prima non avevi capito. Ogni volta che vai in scena provi un’emozione grande e scopri cose nuove di te stesso. Il teatro è una magia che si ripete sempre. Mentre fra il cinema e la tv, le differenze principali sono i tempi. Per il cinema c’è più attenzione per la fotografia, più cura del personaggio. Mentre per la televisione i ritmi sono molto alti, capita di girare anche 7-8 scene nello stesso giorno e a volte mentre giri capita che non sai quale è l’evoluzione completa del personaggio che interpreti…
Per il teatro mi è capitato di lavorare anche gratis, quando il progetto mi è piaciuto tanto. Perché sono convinta che quando fai un lavoro che ti piace diventi più bella. Non riesco a trovare un’altra parola, secondo me, un lavoro ben fatto ti rende più bella!
Fai parte di quella generazione che ha lasciato l’Albania in tenera età, per venire, nel nostro caso, in Italia. Qui sei cresciuta, hai studiato e oggi lavori. Quanto ti senti albanese?
Sono venuta a Roma con i miei genitori quando avevo dieci anni, ma prima di tutto vorrei dire che sono molto grata a loro che hanno sacrificato sé stessi, hanno lasciato tutto, per il futuro di noi figli che non vedevano nell’Albania dell’epoca.
Per quanto riguarda il fatto di essere albanese cresciuta in Italia, posso dire che oggi capisco il significato della parola “apolide”, perché mi capita di sentirmi straniera qui e straniera in Albania. Mi spiego meglio: sono albanese perché mi porto la cultura dei secoli addosso, quella ce l’ho nel Dna, ma dall’altra parte sono anche straniera in Albania, per il semplice fatto che la conosco poco, sono andata lì poche volte. E forse sono così campanilista proprio perché la conosco poco fisicamente, perché mi sono rimasti impressi i profumi e i luoghi dell’infanzia che non troverei più nell’Albania di oggi.
Anche la lingua, la parlo, riesco a leggerla, ma non riesco esprimermi in albanese. Le strutture delle mie frasi in albanese sono semplici, quelle di una bambina di 10 anni, quindi non riuscirei a parlare seriamente di un argomento.
Hai avuto difficoltà appena arrivata in Italia? E oggi?
Io in Albania facevo danza e quando sono venuta qui ho fatto l’esame di ammissione all’Accademia nazionale di danza e volevano mettermi due anni avanti rispetto alla mia età. E questo per il fatto che ero più preparata dei miei coetanei italiani, grazie al rigore delle scuole artistiche in Albania. Nelle altre materie, all’inizio avevo difficoltà, perché non sapevo una parola di italiano. Ma durò poco, due-tre mesi, perché stando a scuola tutto il giorno fra ragazzi italiani e studiando, la lingua la impari ben presto.
Quando, per problemi di salute, ho smesso con la danza, ho pensato seriamente di diventare attrice. Ho studiato recitazione in una scuola privata presso a un teatro e ho seguito un corso di dizione.
Oggi credo di parlare bene l’italiano, ma specialmente perché mi piace tanto leggere, li divoro. Però mi sarebbe piaciuto avessi studiato un po’ meglio la grammatica…
Nella vita quotidiana le difficoltà maggiori, credo, le abbiano passate i miei genitori. Anche se sono sicura che i problemi dipendono dalle persone che incontri: ci sono persone a cui non fa effetto il diverso, lo straniero, anzi lo vedono questo come un arricchimento, ed ci sono persone che hanno una certa diffidenza… Una cosa che mi dà molto fastidio è quando parli con una persona che non sa che sei albanese e nel momento che gliela dici ti risponde stupito: “Ma non sembra!”.
Cercando di farti un complimento ti dicono “Non sembri albanese”, il che mi fa veramente arrabbiare e chiedere “Ma, perché, come sono gli albanesi?”. Questa cosa mi lascia perplessa, tuttora, nonostante tutti questi anni che vivo qua e sento questa frase. A volte, quando dici che sei albanese noti un cambiamento delle pupille dell’interlocutore. E non capisci bene cos’è: diffidenza, paura, stupore…
Per certi aspetti, un altro momento che mi fa sentire non tanto bene è quando vado a rinnovare il permesso. Ebbene si, anche se sto qui da 17 anni non ho ancora la cittadinanza italiana, sai com’è. Vado in questura, mi guardano i documenti e come vedono “lavoro autonomo” cominciano le domande: “Che lavoro fai?”, “Ah, attrice! E che film fai?”. Magari non si interessano per niente del cinema, ma in quel momento magari pensano: “Albanese, attrice? Chi sa che film fa?”.
In generale, tolti questi pochi momenti, non mi sento discriminata. Noi albanesi siamo un popolo di individualisti, e infatti una “Albania town” o “little Albania” non la trovi mai da nessuna parte. Per di più siamo molto orgogliosi, a volte anche stupidamente. E io in questo sono molto albanese: a volte, per rabbia, ho insistito sul fatto di essere albanese. Il mio orgoglio mi portava a rivendicare le mie radici.
Anche questa XH nel nome fa parte della tua albanesità? Te l’avranno chiesto decine di volte di cambiare il tuo nome in Gilda?
Chiesto dici? A volte mi cambiano il nome senza avvisarmi nemmeno, il che mi dà molto fastidio. Prima di tutto il mio nome, Xhilda Lapardhaja, mi sembra molto musicale. Mentre la XH la trovo molto bello e un elemento qualsiasi distintivo. Mi ricordo una volta tanti anni fa, Dino Risi mi chiamo per un provino per il film televisivo “Le ragazze di Miss Italia”. Mi disse: “Fossi in te, io mi farei cambiare il nome e mi farei chiamare Gilda Lapàr”. Lo guardai stupita e dissi: “Cosa? No grazie, per adesso tengo il mio”.